Si è parlato a lungo nei giorni scorsi - e se ne continua a parlare - di c.d. Stati generali.
E noi che siamo appassionati (tra l’altro) di Storia non potevamo che essere colti dal desiderio di scorgere cosa i secoli che furono ci dicono in proposito.
Bisogna andarsi a collocare in Francia, alla fine del XVIII secolo, per ascoltarne il canto del cigno. Per lo meno di quello d’Oltralpe.
Fu Luigi XVI a convocarli infatti nel 1789, l’anno della Rivoluzione francese, con l’obiettivo di tentare il raggiungimento di un accordo tra le classi sociali capace di arginare una crisi a tutto tondo ormai cronica nella Francia dell’epoca.
Vennero inaugurati il 5 maggio del 1789: lo stesso giorno in cui, anni dopo (e precisamente nel 1821), sarebbe morto – almeno così si dice… - Napoleone, uno dei prodotti “ultimi” (e, forse, non il migliore) di quella Rivoluzione alla quale proprio gli Stati Generali voluti da Re Luigi avrebbero definitivamente, di lì a poco, dato la stura.
Venendo ad oggi, ci sentiamo di essere tutt’altro che critici verso un congegno che è nato per far “ascoltare” chi Governa, con l’anelito di raccogliere da chi è invitato a “parlare” ogni suggerimento utile per uscire da un impasse, o comunque per migliorare una situazione difficile.
In una temperie in cui tutti vogliono per l’appunto “parlare” e assai pochi vogliono “ascoltare”, decidere a livello istituzionale di “porgere con attenzione l’orecchio” resta sempre e comunque un bel segnale che - se altrettanto “ben” gestito e a dispetto della Storia - può essere sommamente utile a scongiurare “confusione” e ad alimentare proficui dialoghi finalizzati al raggiungimento di soluzioni condivise.
E’ quello che ci chiede la nostra Costituzione, ed è bene non dimenticarlo mai.
Giulio Bacosi, giurista, ex magistrato, docente di diritto amministrativo e Presidente di Democrazia nelle Regole
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